Michele Giangrande
La performance ibrido-concettuale
di Fabio D’Aprile
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Oggetti riconoscibili e prelevati dal quotidiano, capelli umani, zerbini, metri flessibili, lettere-candele. Questo il repertorio materico cui attingente Michele Giangrande (nella foto accanto alla sua creazione Pennelli). La sua formazione passa attraverso l’Accademia delle Belle Arti di Bari, corso di pittura, per poi trovare un affrancamento del tutto originale ed acuto. La pittura tradizionale si piega all’intervento spaziale tridimensionale, diventando accostamento cromatico di porzioni solide, matericità magmatica pronta a farsi veicolo di una ricca gamma di proposizioni dialettiche. La misura dell’umano e la metafisica dell’idea demiurgica. La caducità del tempo, che mina alle basi la speculazione sull’eternità dell’arte, e la memoria collettiva. L’arricchimento mentale contro il possesso feticistico e la latenza nella fruizione del pensiero palingenetico. Ecco i poli, le contraddizioni insolubili, attraverso cui si muove la riflessione di Giangrande, che è prima di tutto una riflessione metalinguistica: l’arte che interroga i propri linguaggi e ingranaggi. Qualcosa in più è lo stesso artista a suggerirla nell’intervista che ci ha rilasciato.
Fabio D'Aprile: Sarà la tua opera intitolata “Welcome” ad accogliere i visitatori della mostra. Vuoi parlarcene?
Michele Giangrande: Si tratta di uno zerbino progettato e realizzato con i colori della bandiera italiana, che reca la classica scritta Welcome. Il punto di partenza è la trasformazione degli oggetti tramite assemblaggio, contaminazione e ibridazione di elementi fisici e concettuali: uno zerbino incontra una bandiera italiana e dà origine ad un nuovo oggetto. Un oggetto che rimanda ad una serie di implicazioni concettuali quali l’idea di benvenuto in Italia, la capacità di accoglienza dell’umano, e perché no della stessa arte contemporanea, da parte della nostra nazione. Si prefigura anche come un esperimento sociologico: quanti avranno il coraggio di pulirsi i piedi sulla bandiera italiana? Quanti salteranno lo zerbino? Quanti non si accorgeranno neanche dei colori della bandiera? Welcome è un benvenuto alla mostra, una provocazione che non chiede solo di essere ammirata. Lo spettatore viene chiamato ad una scelta pubblica, questa volta il voto non è segreto: chi schiaccerà la bandiera italiana avrà espresso la sua scelta, con tutta l’infinita serie interpretativa che ne deriva.
F.D.: Sembra potersi delineare nel tuo lavoro un’estetica performativa: il corpo come strumento d’arte, velato tuttavia del sublime concettuale.
M.G.: È questo il senso di Nido, l’opera più importante che presento in questa mostra, poichè realizzata con i miei capelli. È il mio doppio, alter ego che viene innalzato ad opera d’arte, sulla scia delle provocazioni di Piero Manzoni. Quest’opera racchiude in sé tutto il percorso ascetico, prima che fisico, di intervento sul mio corpo (per 2 anni sono stato l’hair stylist di me stesso) che diventa scultura in agire: un’amputazione per ottenere la materia prima: i capelli. Dalla performance lo scatto verso il parto del concetto: il nido suggerisce la rappresentazione mentale del contenitore di vita. Un contenitore che tutela, fatto con i miei capelli perché sono loro che ricoprono la testa, il luogo dove nascono le idee, dove si scatena il processo creativo. Allora possiamo dire che l’opera è l’idea stessa, contenitore e contenuto, forma e sostanza. L’opera è il per-corso che non si vede.
F.D.: Un’altra opera sintomatica della contaminazione e ibridazione, non solo fisica ma anche astratta, di cui parlavi prima è “Uomo vitruviano”.
M.G.: Riprende il celebre disegno di Leonardo, un’icona che è sopravvissuta a mezzo millennio di storia senza inclinazioni visive. Il senso di quest’opera era iscrivere l’uomo in un quadrato ed in un cerchio, quindi la manieristica misurazione dell’umano. Io la esprimo sostituendo al tratto di matita e inchiostro un metro flessibile: mi misuro e misuro l’umanistico dogma artistico del’uomo-microcosmo, dell’uomo al centro del mondo. La sagoma si genera dai testicoli e dalla mente a sottolineare i due elementi primigeni e costituivi l’umano: istinto e ragione, il mondo ideale e il mondo terreno, Socrate e Platone. Il messaggio che mi preme trasmettere è che dopo l’atto sessuale segue quello culturale: edurre alla civiltà ciò che si è creato, in un ciclo infinito. Infine,l’aggiunta del triangolo, unica figura geometrica che manca nel disegno di Leonardo, non vuole essere un superare il modello, ma, in quanto artista contemporaneo, un aggiungere per reinterpretare la tradizione.
F.D.: In molte opere, quale materia prima, compare il metro. Quanto è importate per te la misura?
M.G.: Le mie opere rispecchiano la mia vita, che è una recherche infinita di obiettivi, una continua definizione di traguardi e stati d’animo, una cifrata misurazione, spesso inconscia, di tutto quello che ci attraversa. Ebbene, l’uso del metro è emblema della quantificazione delle distanze.
Michele Giangrande
The hybrid-conceptual performance
by Fabio D’Aprile
Recognizable everyday objects, hair, doormats, measuring tapes, letter-shaped candles. That is the wide repertoire Michele Giangrande draws upon. He completed his education at the art academy in Bari (Accademia delle Belle Arti), he was in the painting class and later found his own dimension reaching an original level of intensity. Traditional painting gives in to a spatial and three-dimensional action, it becomes a combination of colours and solid parts, a jumble of materials that may be used as a vehicle for dialectical clauses. The Human and the metaphysics of the creating power. The transience of time, that undermines the speculation about never-ending art, and the joint memory. A mental enrichment versus the fanatical possession and an innovative hidden mind. Those are the poles, the insolvable contradictions Giangrande goes through. First of all, it’s a metalinguistic reflection: art questions itself about its languages and mechanisms. The artist will tell more about it in the following interview.
Fabio D’Aprile: Your work “Welcome” will welcome visitors to the exhibition. Do you want to talk about it?
Michele Giangrande: It’s a doormat designed in the same colours of the Italian flag with the classic writing “welcome” on it. The objects’ transformation by assembling, contaminating and crossbreeding physical and conceptual elements, is a starting point. A doormat meets the Italian flag and gives birth to a new object. An object that recalls a succession of conceptual connections, such as the idea of welcoming in Italy, our country’s capability of welcoming strangers, and contemporary art even. It’s sort of a sociological experiment: how many people will actually have the cheek to clean their shoes on the Italian flag? How many will avoid to tread on it? How many won’t even notice the colours of the flag? “Welcome” is a welcome to the exhibition. It’s a provocative work that is there not just to be seen. The viewer is asked to make a public choice. This time the “vote” does not remain secret: the ones who will tread on the flag will take their choice which will suggest plenty of different interpretations.
F.D.: A performing aesthetic stands out in your work: the human body as a means of art, supplemented with a veiled message.
M.G.: That’s the meaning of “Nido” (Nest), it is the most important work I presented for this exhibition since it’s made of my own hair. It’s my alter ego that has been elevated to a work of art, in the wake of Piero Manzoni’s provocations. This work holds within both a physical and ascetic process. I worked on my body that turns a sculpture-making (I’ve been my own hairstylist for two years). This cut is aimed at getting raw materials: hair. Quite a step up from the performance to the birth of a concept: the nest prompts a mental representation of a box holding life. A box built to protect you, since the nest is made of my hair, and my hair protect my head where I give birth to ideas and the creating process starts out. I’d say my work is the idea itself. It is both the box and what’s inside, both the form and the substance. My work is what cannot be seen.
F.D: Another work of yours “Uomo Vitruviano” is symptomatic of the physical and abstract contamination and crossbreeding you told us about before.
M.G.: It is taken from Leonardo’s famous drawing, an icon that survived five centuries of history and didn’t undergo any changes. The aim of this work was to inscribe a male figure both in a square and a circle, a way to express the Mannerist human measuring. Only I replaced the stroke of ink and pencil with measuring tapes: I measure my inner self and the dogma of the humanistic arts about man as a microcosm, man as the centre of the Universe. The male shape starts to form from his testicles and head. This is to underline the primitive elements of a human being: instinct and rationale, the ideal world and the real world, Socrate and Platone. The message I really want to pass on is that, after a sexual act, a cultural act follows: bringing to society what has been created, a never-ending cycle. Finally, I didn’t mean to surpass the original model when I added a triangle to it, a geometric shape that is not in the Leonardo’s original drawing. As I am a contemporary artist, I just wanted to add something to reinterpret tradition.
F.D.: You often use measuring tapes in your works. How important is “measure” to you?
M.G.: My works reflect my life, that is an endless search for goals, I set myself aims, I’m always changing moods. These are all coded measurements, often unconscious, of everything we are going through. Well, I use measuring tapes as an emblem of measuring distance.
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