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di Francesca De Filippi
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%. Un simbolo per la nuova serie di Michele Giangrande. Un simbolo che, come un intuizione, rappresenta il lavoro di sintesi che è alla base della sua ultimissima produzione.
Ispirato dalla poetica dell’objet trouvè, contaminata dalla fascinazione per certa cultura vintage e da una sempre crescente attenzione nei confronti degli stimoli offerti dalla storia dell’arte, l’artista propone una “rilettura enigmatica” di alcune tra le riviste e le pubblicazioni periodiche più rappresentative del nostro tempo, come Vogue, Cosmopolitan, National Geographic, solo per citarne alcune.
Un’operazione che mette in campo molteplici sfaccettature di una stessa medaglia, andando a toccare tematiche che spaziano dalla sociologia, alla politica, alla filosofia, fino alle profondità esistenziali della contemporaneità, mantenendo sempre viva l’attenzione verso le potenzialità comunicative del linguaggio artistico. I periodici sono infatti quasi un pretesto, un emblema dell’informazione onnivora e a tratti crudele che racconta una verità deformata dal bisogno di plasmare le opinioni, i pensieri e il gusto del grande pubblico. L’artista interviene, dunque, a manipolare a sua volta il potere informante della carta stampata, invertendo la polarità della notizia e decodificando, attraverso una semplice azione di “sottrazione”, un messaggio più aderente alla realtà.
Coerentemente con l’argomento trattato della rivista, con la sua denominazione e con l’immagine presente in copertina, Giangrande sovverte le regole della narrazione e racconta una nuova storia “mutilando” la rivista. Attraverso un’azione aggressiva, compromettendo cioè la normale leggibilità del periodico, l’artista induce un cortocircuito percettivo che sublima il significato dell’azione stessa. Ogni rivista infatti è privata di una determinata percentuale di area che corrisponde alla medesima percentuale di un informazione che si sceglie di divulgare e la cui natura è strettamente collegata a quella della pubblicazione. Così per esempio si avrà Vanity Fair ritagliata in proporzione alla percentuale mondiale di consumatori di cocaina, oppure Life privata della percentuale corrispondente ai suicidi avvenuti nel mondo nel 2009.
Seguendo questo processo, indicativamente tautologico rispetto al linguaggio mass mediatico e doppiamente codificato dall’intenzione estetica di destabilizzare lo sguardo e dalla volontà di affermare il potenziale sovversivo dell’indagine artistica, Michele Giangrande gioca con la sua abilità di artista mimetizzando, nell’intera produzione, non solo colte citazioni rispetto all’opera di grandi artisti (si pensi ai tagli di Fontana o alle dissezioni di Hirst), ma soprattutto riferendo l’esito di questo procedimento alle leggi della scultura classica che affermava se stessa proprio nell’eliminazione del superfluo dal blocco di marmo. In tal senso, dunque, le riviste si presentano come delle vere e proprie sculture, anzi ancor di più come dei reliquari autoreferenziali: a completamento dell’opera, infatti, i periodici sono incorniciati in passepartout delle dimensioni originali, in modo da rendere ancora più evidente l’amputazione subita, e inoltre ogni cornice è corredata in basso da una targa di alluminio che porta in calce la motivazione della percentuale sottratta.
% si presenta, quindi, come un momento di verifica, in cui convergono le maturazioni creative dell’artista, che riesce a coniugare la complessità delle implicazioni concettuali del suo lavoro con un linguaggio sempre più raffinato e risolutivo.
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by Francesca De Filippi
% It’s a sign Michele Giangrande chose for his new series of works. It intuitively means “synthesis” that is a base for his latest works. The artist has been inspired by the object trouvé poetry, that got contaminated with the charming vintage culture and a growing attention to everything that history of Art spurs you to. The artist drives you to an enigmatic second reading of some of the latest and most peculiar magazines and periodicals in our time: Vogue, Cosmopolitan, National Geographic, to name but a few. This way he shows the other side of things and reaches the main themes, ranging over sociology, politics, philosophy. He gets deep into the contemporary existentialism and keeps drawing attention to the communicative skills of the language of art. Magazines are just an excuse, an emblem of an omnivorous information, cruel sometimes, telling about a twisted truth that only feeds the need to mould people’s opinions, ideas and tastes. So the artist handles the power of papers, shifts the polarities of news, he decodes a message closer to reality by subtracting a part out of them.
Giangrande breaks the rules of narration, he “cripples” the magazine and tells a new story, always in keeping with the issue the magazine deals with, in keeping with its headline and the picture on the front cover. It’s an aggressive process where the artist makes your ideas collide, which makes his purpose sublime and changes your way of reading.
Every magazine lost a certain percentage of area that turns out to be the same percentage of the news he really wants to report. E.g.: he cut away from VANITY FAIR a part that is equal to the percentage of people addicted to cocaine; he cut away from LIFE a part that is equal to the percentage of people who committed suicide all over the world in 2009.
Michele Giangrande plays on his artistic skills, his latest works recall Fontana’s cut and slashed paintings or Hirst’s dissected cow and calf. They all refer to the carving procedure where a work of art is made by cutting away material from marble. So magazines turn sculptures, reliquaries even. They got framed in a passe-partout second frame of the same size of the original magazine to make you notice a piece is missing. What’s more, there is an aluminium plate on the lowest part of the frame saying what is the percentage that had been cut away. This way he matches up the conceptual complexity of his works with a more refined and resolute language.
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