Cosmic milk

di Christian Caliandro
Storico e critico d'arte contemporanea

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L’arte di Michele Giangrande ruota attorno alla costruzione di meccanismi, che sono mondi. Questa costruzione passa attraverso l’uso materiali di scarto, residuali, di linguaggi desueti e di stili fuori moda (come la ceramica dipinta della tradizione pugliese). I singoli moduli sono i frammenti, i pezzi, i mattoni di un sistema sempre più ampio, articolato e complesso, che descrive e riproduce a sua volta un intero universo immaginario e narrativo - il suo funzionamento interno, i suoi ingranaggi.
Le declinazioni, le concretizzazioni sono costantemente informate da una specifica ironia che non ha nulla a che vedere con l’attitudine cinica così caratteristica dell’ultimo ventennio, quella che separa da sé, che mette a distanza, che crea infiniti filtri rispetto alla realtà: si tratta piuttosto della vera ironia, dell’ironia rinascimentale. Fortemente connessa con l’idea della fine e con la critica come comprensione dell’esistente.
Così, con strumenti molto spesso volutamente scarsi e inadeguati questo artista italiano riesce ad approntare un’indagine sorprendente per profondità, per acume dolce e implacabile, perché si nutre di amore per la vita e per l’esperienza. Quello che Giangrande tenta di ottenere con la sua opera è di usare la banalità contro se stessa, di détournare la stupidità del mondo contemporaneo: abbandonando dunque una volta per tutte qualunque atteggiamento cinico nei confronti dell’operazione culturale e del ruolo dell’opera d’arte all’interno della realtà sociale, attraverso questi lavori sta sviluppando e articolando una riflessione sulla responsabilità dell’autore post-ideologico, su un’identità artistica specificamente italiana che si nutre di tradizione culturale (e non di citazioni) aprendosi al tempo stesso a una dimensione internazionale. L’italianità del suo lavoro consiste proprio nella riduzione costante dei mezzi scelta consapevolmente come griglia metodica, che coincide a sua volta con una crescita nella complessità della realizzazione.
In Giangrande, la “semplicità” si oppone dunque direttamente all’“ipersemplificazione” degli strumenti e dei contenuti come cifra di un’epoca: si propone come resistenza creativa ad essa.
Così, la Writing Series, realizzata ricoprendo comuni fogli A4 di strati e strati di scrittura con penne a biro di diversi colori, sembra dipingere una storia culturale dell’umanità – dalla luce all’oscurità, e viceversa – attraverso testi letterari e formule matematiche che, ripetuti sulla pagina, accedono a una dimensione ulteriore di esistenza. Il gesto stesso della scrittura si spazializza e si temporalizza, si trasforma in una pratica quasi mistica in cui la manualità è la via per accedere a una forma diversa, visiva, di consapevolezza: “Insomma, diversamente dai ready-made duchampiani e/o dall’objet-trouvé di matrice surrealista, sono oggetti modificati nella sostanza, poiché non solo prelevati dalla realtà quotidiana, ma trasformati radicalmente per mezzo di una manipolazione disciplinata e paziente, che da un lato conserva il simulacro degli oggetti e dall’altro ne altera l’aspetto”, dichiara l’artista.
Infine, l’opera più recente, le tre lastre di ottone di Pillars of Creation (Time, Space, Gravity) compongono una sorta di pala d’altare contemporanea, declina in maniera brillante e poetica queste tre dimensioni della realtà. Il titolo del lavoro riprende quello della famosa fotografia scattata dal telescopio spaziale Hubble il 1 aprile 1995 alle colonne di gas interstellare nella Nebulosa Aquila; l’opera si ispira inoltre alle placche commemorative poste a bordo delle sonde Pioneer 10 e 11 nel 1972 e nel 1973: insieme alle immagini di un uomo e di una donna, sulle placche erano presenti i simboli con le informazioni fondamentali relative al mondo di provenienza. Tra gli estremi dell’origine e della proiezione nel futuro si muove la riflessione di Michele Giangrande.